Le vitamine D sono un gruppo di composti accomunati da una struttura steroidea, implicati nel metabolismo del calcio e del fosforo e per tal motivo fondamentali per la prevenzione di malattie ossee (rachitismo nei bambini e osteomalacia negli adulti). D2 e D3 sono le vitamine di maggior interesse biologico. La vitamina D2 viene anche chiamata ergocalciferolo ed è presente nei vegetali, mentre la vitamina D3, anche detta colecalciferolo, è di origine animale.
Sono due le fonti di vitamina D per l’uomo: sintesi endogena e la dieta.
Nella cute è presente una molecola chiamata 7-deidrocolesterolo la quale, in seguito ad esposizione ai raggi solari ultravioletti, viene convertita in vitamina D3. Se l’esposizione al sole è adeguata, la sintesi endogena di colecalciferolo è sufficiente per coprire i fabbisogni giornalieri che corrispondono all’incirca a 10-15 µg/die. Circa l’80% di Vitamina D necessaria viene introdotta mediante sintesi endogena, il restante 20% lo si ricava dall’assunzione di oli di fegato di merluzzo, fegato, uova, ed alcuni prodotti ittici. Per poter esplicare le sue numerose funzioni all’interno dell’organismo umano è necessario che la vitamina subisca una ulteriore modificazione enzimatica convertendola nella sua forma attiva: calcitriolo.
Studi molecolari hanno permesso di evidenziare la presenza di recettori VDR non soltanto a livello delle cellule dell’ossa ma anche in numerosissimi altri tipi cellulari compresi i linfociti T, cellule implicate nei processi di risposta immunitaria. Vecchi studi hanno dimostrato che la vitamina D è in grado di incrementare l’attività battericida dei macrofagi. Cellule dentritiche e macrofagi presentano sulla loro superficie cellulare specifici recettori chiamati Toll-like che sono in grado di legare antigeni batterici. Tale interazione determina un aumento dell’espressione dei recettori VDR e di un enzima che converte la vitamina D in calcitriolo. Quest’ultimo, interagendo con il recettore VDR, consente la sintesi della catelicidina con conseguente uccisione del batterio.
Catelicidina e β-defensina, regolati in parte dalla vitamina D, svolgono un ruolo importante nella difesa immunitaria del sistema respiratorio attraverso l’inattivazione di virus e reclutamento di fagociti. Sulla base di tali dati e di studi recenti, si ipotizza che adeguati livelli ematici di 25-idrossivitamina D aiutino a ridurre la probabilità di esiti clinici avversi e morte nei pazienti ospedalizzati con COVID-19.
Questo dato non deve essere mal interpretato dal momento che la sola vitamina D non è in grado di proteggere dall’insorgenza del COVID-19, anche se una sua carenza può causare un aumento della suscettibilità alle infezioni e alle malattie in generale danneggiando la funzione immunitaria. Per cui, soprattutto nei mesi invernali, sarebbe opportuno controllare i livelli di vitamina D e far fronte a eventuali carenze consultando il proprio medico.